
18 aprile 1906: il terremoto di San Francisco
Il sergente di polizia Jesse Cook si trova vicino alla zona dei moli, la mattina del 18 aprile 1906. La città alle cinque sta ancora dormendo: il cielo è tinto di viola e sovrasta il regno dei fruttivendoli, dei venditori all’ingrosso, dei pescivendoli, dei panettieri. Cook chiacchiera con un rivenditore di fronte al deposito di Levy, a pochi passi dal mercato ortofrutticolo cittadino, quando nota un cavallo da traino muovere il collo come se attaccato da uno sciame d’api, contemporaneamente battendo il terriccio con gli zoccoli. “Chissà cosa l’ha reso così nervoso”, deve essersi chiesto in quel momento.
Ma la risposta arriva subito, in quella San Francisco aggrappata alla fine del mondo: un boato distante scuote l’aria, poi il manto della città si muove come se percorso da un’onda violenta. Cook si volta verso Washington Street e vede la strada sollevarsi come un tappeto sbattuto. L’onda si porta dietro una scia di fumo e di edifici sbriciolati.

Cook si volta verso il centro cittadino, sede degli uffici, delle banche, degli alberghi più chic. E proprio nella punta di diamante della città, al leggendario Palace Hotel, una forte scossa sveglia il più grande tenore del tempo, il napoletano Enrico Caruso: “Mi svegliai come su una nave in balia della tempesta, da tanto la mia stanza oscillava. Sembrava che il lampadario cercasse di toccare il soffitto, le sedie volavano…”, scrive qualche tempo dopo sullo Sketch di Londra. Il Palace Hotel crollerà nel pomeriggio, ma miracolosamente Caruso si salva insieme ai suoi 54 bauli da viaggio. Prima di sera sono già sul treno notturno in direzione New York.
La più grande catastrofe naturale che si fosse mai abbattuta sul Nord America, un terremoto di magnitudo 8.3, aveva appena raso al suolo la “Parigi dell’Ovest”.

Ma questo era nulla in confronto al disastro che seguì: già prima della fine delle scosse sismiche, circa cinquanta incendi erano già nati in tutta la città. Quando gli eroici volontari corsero per domarli, tuttavia, si accorsero che il terremoto aveva distrutto il sistema di approvvigionamento idrico, lasciando le pompe a secco. Per tre giorni le fiamme infuriarono di quartiere in quartiere distruggendo ogni cosa al loro passaggio: i fiori all’occhiello della città, il Palace hotel e il St. Francis, furono tra i primi ad essere inghiottiti. Poi fu il turno di Chinatown e delle ville dei baroni dell’argento e della ferrovia su Nob Hill, poi North Beach e Fisherman’s Wharf. Le fiamme furono finalmente contenute lungo la Van Ness e, a sud, dalle parti del parco Dolores. Alla fine del primo giorno, quell’inferno rifulgeva di un bagliore così intenso che i cittadini di Oakland, dall’altra parte della baia, potevano leggere il giornale in giardino.

Quando l’ultima fiamma si spense e i soccorritori poterono fare un primo conto delle perdite, il bilancio fu disastroso: circa tremila vittime, cinquecento isolati rasi al suolo, quasi 30.000 edifici distrutti e 250.000 senzatetto.
Ricostruire la città fu un compito monumentale: pensate che nell’area di Fisherman’s Wharf (dove c’è il Pier39, per intenderci) vennero scaricati in mare oltre 15 milioni di mattoni provenienti dal Palace e dal St. Francis hotel. Il quartiere di North Beach fu il primo a essere ricostruito nel giro di qualche mese. Un’amica di San Francisco mi ha raccontato che sua nonna, di origini italiane, aveva ricordi molto vividi del terremoto e dell’incendio, nonostante allora avesse solo sei anni. Fino alla morte avrebbe ringraziato Amedeo Giannini, vero pilastro della comunità italiana, senza i cui prestiti la sua famiglia non avrebbe mai potuto rimettere in piedi la casa e l’attività. Giannini, strumentale anche nella costruzione qualche anno dopo del Golden Gate Bridge, fondò la Bank of Italy, che oggi porta il nome di Bank of America.

Trovare i segni del terremoto e dell’incendio a San Francisco non è oggi un compito facile. Una delle cose che potreste fare è andare a caccia di “earthquake shacks”, le baracche costruite a seguito del disastro per ospitare i terremotati. Fun fact: costate ai proprietari 50 dollari, oggi si trovano sparse un po’ per tutta la città e, naturalmente, costano milioni.
Per gli esploratori urbani è però difficile riuscire a immaginare l’entità del disastro partendo da qualcosa di tuttora visibile. Ecco perché ti consiglio di fare un giro tra le elaborazioni del fotografo Shawn Clover, che nella serie “Fade to 1906” ha scattato alcune fotografie nella stessa posizione di alcune immagini risalenti ai giorni del terremoto, creando un ibrido passato-presente dal forte potere suggestivo.

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2 thoughts on “18 aprile 1906: il terremoto di San Francisco”
Interessante ! Grazie ! Ho visto anche un filmato su tale argomento alla California Academy , in tre D con simulazione del catastrofico evento .Belle anche le foto !
Grazie a te, Tiziana!
Sì, la Cal ha una sezione dedicata al terremoto davvero ben fatta. A me piace particolarmente la parete dove ognuno può appiccicare un post-it raccontando cosa stava facendo durante l’ultima scossa. Le risposte dei bambini sono a volte esilaranti, se l’argomento non fosse così serio per la Bay Area…
Alcune foto del terremoto sono davvero spettacolari, adoro poi vedere gli abiti degli abitanti del tempo 🙂
Grazie di essere passata!
Elena