
American Writers Museum a Chicago: dove luoghi e parole si incontrano per raccontare l’America
Cade proprio in questi giorni il primo anniversario dell’ American Writers Museum a Chicago, il primo museo dedicato all’esplorazione dei luoghi e delle parole negli Stati Uniti. L’anno scorso ero stata invitata all’inaugurazione, unica giornalista italiana, e ne scrissi poi un reportage per La Lettura del Corriere della Sera. Approfitto della ricorrenza per ripubblicare il pezzo qui, insieme a qualche foto in più.
Viaggiatori in terra statunitense, ci siete mai stati? Se fate tappa a Chicago non potete assolutamente perderlo!
Le parole definiscono le identità dell’America: è nato a Chicago l’ American Writers Museum
Ha aperto a Chicago l’American Writers Museum, il primo museo che esplora l’importanza della parola scritta nell’influenzare l’identità, la storia e la cultura degli americani. Situato in pieno centro, a pochi metri dal celebre Bean nel Millennium Park, promette di arricchire il panorama culturale della città che vanta già più di sessanta musei.
“Gli scrittori ci insegnano a reimmaginare il mondo come potrebbe essere, e non solo com’è” – ha dichiarato Obama in una lettera ai giornalisti presenti alla conferenza stampa. “Ci trasmettono le virtù della gentilezza, della tolleranza e del rispetto”. Un valore sottolineato anche dalla presidente del consiglio della contea di Cook Toni Preckwinkle, che ha lodato il museo per il suo ruolo nel formare “cittadini attivi, impegnati e informati, specialmente in questo periodo storico”. Qualche entusiastico “Yes!” si è levato dal pubblico, ma l’iniziativa è parsa sin da subito bipartisan se si considera che tra i primi sostenitori del progetto ci sono i coniugi Laura e George W. Bush.

Com’è nata l’idea per un museo sugli scrittori americani?
Ci sono voluti sette anni perché si realizzasse l’idea dell’imprenditore irlandese Malcolm O’Hagan. Di ritorno da una vacanza a Dublino e dal suo museo degli scrittori, si rese conto che mancava uno spazio dove si celebrasse il valore della letteratura. Chicago sarebbe stata l’approdo naturale del progetto, con la sua forte tradizione letteraria e la sua posizione centrale.
Negli Stati Uniti esistono un centinaio di “case di scrittori” che offrono una prospettiva intima sul rapporto tra luogo e produzione letteraria. Proprio a qualche chilometro da Chicago c’è la casa in cui è nato Hemingway: meticolosamente arredata come doveva essere nel 1899, mette in mostra persino la carta da parati con i leoncini che avevano ispirato le storie del piccolo Ernest.
Oggi tutte queste dimore sono partner del museo, e non si esclude una collaborazione in caso di mostre specifiche. Così, in futuro potremmo trovare cimeli dalla vita quotidiana di Whitman in New Jersey, di Faulkner in Mississippi, di Willa Cather in Nebraska. Ma l’obiettivo ultimo dell’AWM è un altro: permettere un’esplorazione complessiva della produzione letteraria americana in relazione alla sua geografia e storia culturale.
Com’è fatto l’American Writers Museum: un tour virtuale

Varcando la soglia del grande spazio al secondo piano di un grattacielo sulla N. Michigan Avenue, ci si accorge subito che gli interni sono diversi da quelli che ci si aspetterebbe in un museo di questo tipo: niente ampi corridoi in marmo, niente libri antichi in mostra, niente teche a temperatura controllata per conservare manoscritti e prime edizioni. Lo spazio è invece inondato di luce naturale che entra dalle grandi finestre con vista sui grattacieli, quando non gioca su sapienti contrasti tra luce e buio. L’altra grande assenza è proprio quella dei libri, perché l’esplorazione del museo è quasi sempre interattiva e digitale. Tratto distintivo, questo, dello studio Amaze Design di Boston, responsabile di quel gioiello che è il museo per i diritti civili a Birmingham, in Alabama.
Sin dalla soglia, è evidente l’intento di avvicinare il pubblico alla scrittura – ai suoi effetti sulla realtà, ma anche ai suoi meccanismi interni. “La parola scritta viene riformulata e resa più democratica ogni giorno”, ci spiega Allison Sansone, coordinatrice delle attività del AWM. “Sarebbe facile pensare che sia un processo iniziato con internet, ma anche la stampa ai suoi albori è stata un potente mezzo democratico”.

Chi verrà al museo cercando approfondimenti di livello accademico rimarrà deluso. Ma non lo sarà chi invece è attratto dai ragionamenti obliqui. D’altra parte, è una scelta chiara sin dal nome: non il museo della letteratura (un po’ intimidatorio, ci dicono) ma degli scrittori. E così all’ingresso, sulla grande mappa degli Stati Uniti chiamata A Nation of Writers, vengono proiettate immagini della dichiarazione d’indipendenza, di Melville e Hemingway, per poi passare a Betty Friedan, ai canti dei nativi americani, all’Urlo di Ginsberg, a Johnny Cash e Janis Joplin. “La grande scrittura americana prende tante forme diverse”, si legge.
Questo ventaglio ampio presta il fianco, talvolta, a una certa superficialità. Un testo di dieci righe non può che sfiorare la vita e l’opera dei giganti, e così capita che Lolita di Nabokov sia “imperniato su un road trip – un genere classico americano – per poi rivisitare i motel e la cultura adolescenziale.”

Al contrario, alcune schede tematiche offrono una piacevole trasversalità di temi e geografie. In “Responsabilità sociale” si tocca il lavoro di Gwendolyn Brooks e Richard Wright, che occupano un posto speciale nel panorama letterario di Chicago. Si passa poi ai vergognosi campi in cui venivano internati gli americani di origine giapponese a seguito dell’attacco a Pearl Harbor, associandoli al lavoro di Dorothea Lange – non una scrittrice, dunque, ma senza dubbio la più grande narratrice per immagini di quella pagina buia della storia americana. E così come non si trascurano le scritture private che hanno avuto origine nei campi stessi (penso a quello di Manzanar, in California), non si manca di ricordare il padre della canzone di protesta americana, il grande Woody Guthrie e la sua chitarra che “uccide i fascisti”.
Anche a un’occhiata rapida, ci si rende conto di un dettaglio importante: gli scrittori presi in esame sono tutti morti. Potrebbe sembrare una scelta miope o quantomeno conservatrice. “Volevamo considerare gli autori che sono stati testati dal tempo”, dice Sansone. “Una squadra di una dozzina di curatori si è occupata dei contenuti del museo, e ha ritenuto che gli autori qui inclusi fossero quelli che più hanno contribuito allo sviluppo della tradizione letteraria americana.”
Una gabbia meno stretta è quella offerta dalle mostre temporanee, che daranno spazio anche ad autori contemporanei. La prima di queste è un omaggio al poeta W. S. Merwin, che dipinge in parole gli orizzonti cristallini della sua Maui. Per lui è stato creato un vero giardino tropicale da esplorare mentre si ascoltano le sue poesie, trasmesse insieme a quelle di altre figure che hanno formato la sua poetica (c’è anche Ezra Pound).
Dicevamo che non troverete poltrone o scrittoi in mogano qui: ma un cimelio c’è, e siamo sicuri che attrarrà parecchi visitatori. Fino a fine ottobre sarà infatti ospitato l’Original Scroll, il rotolo su cui Jack Kerouac portò febbrilmente a termine il suo Sulla strada che ancora oggi non ha perso il suo fascino.
“Il lettore e la lingua dello scrittore hanno la stessa relazione che c’è tra un ballerino e la musica che lo fa muovere”, ha detto lo storico e vincitore di due premi Pulitzer David McCullough. “Nel mio cuore, questo museo celebra la grande arte della scrittura, ma anche la grande arte della lettura.”

(Questo pezzo è uscito, in forma leggermente diversa, su “La Lettura” del Corriere della Sera il 28 maggio 2017.)