Una tranquilla domenica al poligono: il mio viaggio nell’America che ama le armi

Una tranquilla domenica al poligono: il mio viaggio nell’America che ama le armi

Non preoccuparti: il fucile non ha un’anima, sei tu che lo comandi, non il contrario; non farà mai nulla senza che sia tu a deciderlo.

Il mio amico cercava di tranquillizzarmi mentre, con i battiti del cuore accelerati e le dita affaticate, cercavo di far stabilizzare il mirino tremante nel centro dell’omino di carta a dieci metri dalla mia postazione.

Una tranquilla domenica al poligono

Ero stata invitata a una cena a base di carne di maiale cotta al barbecue da due cari amici che abitano in una piccola cittadina in Illinois, a un’oretta da Chicago.

“Ti va se prima di mangiare andiamo a sparare qualche colpo al poligono?”. Me l’avevano proposto con la stessa nonchalance riservata all’invito a mangiare un gelato. “Perché no?”, risposi. Di loro mi fidavo, e poi ci sono pochi riti di passaggio più americani di questo. O almeno, in un certo tipo di America. Non potevo lasciarmi sfuggire l’occasione.

M. e A. lavoravano entrambi in un settore in cui era richiesto che sapessero maneggiare armi con una certa facilità. Sapevo che A., la mia amica, fino a qualche anno fa dormiva con un coltello da cucina sotto al cuscino. Sapevo anche che aveva recentemente preferito effettuare un upgrade e comprarsi una Beretta.

Quello che non sapevo era che qualche minuto prima di uscire di casa avrei visto una custodia in tela color deserto – di quelle che da noi potrebbero proteggere l’attrezzatura da pesca – contenere un AK-47. Una più piccola nascondeva un fucile semiautomatico AR-15.

Il mio corso nella gestione di un Kalashnikov durò circa dieci minuti. Imparai diligentemente la sequenza di movimenti con M., mentre A. tratteneva il loro cagnone che voleva saltarmi in braccio: inserire il caricatore con i proiettili – tirare l’otturatore per inserire il proiettile in canna – togliere la sicura – premere il grilletto – rimettere la sicura – appoggiare al banco la pistola. Solo dopo aver portato a termine la serie ci si può distrarre, parlare con i compagni, eccetera. “Sì, ho capito”. “Ok, mi sento pronta”. “Ok, andiamo”.

poligono america viaggio

Il poligono di tiro era a una quindicina di minuti d’auto. Le commesse – ragazze giovani in t-shirt e cappellino, come ovunque in questa stagione – salutarono i miei amici con un gran sorriso, “Ehi, voi due, è un po’ che non ci si vede!”. Avrei saputo più tardi che il poligono, in quest’America a metà tra la città e la campagna, è uno dei luoghi più gettonati per un appuntamento tra fidanzati, ma anche per le serate tra amiche. Vidi persino qualcuno entrare con un coupon di Groupon.

All’ingresso, mi venne solamente chiesto il passaporto per la registrazione come ospite. Nessuna garanzia riguardo le mie intenzioni, la mia salute mentale, niente di niente.

Spari

Due minuti dopo sparavo all’omino di carta con una maneggevole Glock, 9mm. “Wow, right through the heart!”, mi disse M. guardandomi col sorriso orgoglioso che si apre solo sul viso di un insegnante che ha fatto un buon lavoro. Qui ebbi il primo mancamento: “wow, forse sono brava in questa cosa” – pensavo – “peccato che il proiettile non sia fatto proprio per bucherellare la carta…”

shooting range illinois

Quando sei dentro ti fanno indossare cuffie e occhialini protettivi. Nonostante questi, udire uno sparo per la prima volta è qualcosa che ti scuote ogni cellula del corpo. È un suono brutale – uno spartiacque, una traiettoria netta tra il “prima” e il “dopo”.

Mano a mano che sale la potenza dell’arma, l’assalto ai sensi è più violento. Il Kalashnikov è letteralmente in grado di creare uno spostamento d’aria tale da farti volare via una sciarpa leggera.

L’arma, che sembra quasi esserti scoppiata tra le mani, rimane calda per qualche secondo. Il mondo fuori è sempre lo stesso, eppure qualcosa dentro di te si è riposizionato in modi nuovi.

Convinzioni politiche

Ripenso sempre a questa esperienza, ogni volta che si sente dell’ennesima strage a mano armata negli Stati Uniti. Tanto più ora che si sta riflettendo sulla necessità di cambiare la regolamentazione sulle armi, appreso il fatto che l’attentatore di Las Vegas aveva passato regolarmente i molteplici test psicologici che dovrebbero impedire ai malati di mente di agguantare un fucile d’assalto.

I miei amici si definiscono “libertari“. Appartengono cioè al terzo partito più grande negli Stati Uniti, esterno agli schieramenti repubblicano e democratico. Sostiene posizioni progressiste per certi aspetti (matrimonio tra persone dello stesso sesso, per esempio) ma promulga idee conservatrici sull’ingerenza del governo nelle scelte dei cittadini (armi libere, stato sociale inesistente, niente sanità pubblica).

libertarian party motto georgia
Il motto del Partito Libertario della Georgia (facebook)

Una volta arrivati a casa, era inevitabile per me portare il discorso alle frequenti stragi a mano armata (mass shootings è quando si colpiscono quattro o più persone: negli USA ne avviene una quasi ogni giorno). Las Vegas, ma anche Orlando, Virginia Tech, Sandy Hook, San Bernardino. Luoghi che si trasformano in violenza, lutto e battaglia politica.

“Fosse per me, tutti avremmo un’arma e sarebbe disciplina di studio nelle scuole, così da rendere rari gli incidenti”, mi spiegò M. “E che mi dici delle sparatorie nelle scuole?”. “Beh, ecco che c’è: se gli insegnanti della scuola elementare di Sandy Hook avessero avuto una pistola nascosta in cattedra, l’assassino sarebbe stato neutralizzato subito“.

Non mi è ancora chiaro come sia possibile che due persone così poco americane in senso classico (entrambi parte di minoranze, plurilaureati, hanno vissuto all’estero, si interessano di geopolitica, sono lettori, parlano perfettamente sei lingue in due) possano farsi portavoce di idee che alle nostre orecchie suonano come i vaneggiamenti di un pazzo.

Eppure, una fetta sostanziale della popolazione crede in un governo fantasma e nel buon senso del cittadino medio: fantascienza.

Un fantascienza che ha però radici profonde nella storia americana, e che ci porta dritti a quella estate del 1792, quando il Segretario di Stato Thomas Jefferson annunciò che erano appena stati ratificati i primi dieci emendamenti alla costituzione. Tra questi, un oscuro emendamento dalla sintassi zoppicante:

« Essendo necessaria, alla sicurezza di uno Stato libero, una milizia ben regolamentata, non potrà essere infranto il diritto dei cittadini di detenere e portare armi. »

Uno snodo cruciale della storia del paese che presto vi farò esplorare.

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