
Perché gli Americani vogliono abolire il Columbus Day
Pubblico questo intervento sulla recente festività di Columbus Day originariamente apparso sul sito progressista 48hills.org. Colgo l’occasione per ringraziare Tommi Avicolli Mecca, autore del pezzo, e Tim Redmond, fondatore della rivista. Andate a farvi un giro, se pensate che la San Francisco combattente sia ancora viva. Non vi sbagliate.
È una proposta semplice: abolire il Columbus Day e trovare un altro giorno per onorare il contributo degli italiani a questo Paese.
Ecco ciò che sto proponendo insieme a più di 50 accademici, artisti e attivisti italiani. Abbiamo scritto due lettere, inviandone una ai leader delle comunità italoamericane chiedendo loro di “facilitare una discussione onesta nelle loro comunità al fine di esplorare modi più appropriati… di riconoscere e celebrare l’eredità fatta di sacrificio e generosità che gli italoamericani hanno dato a questa nazione”.

L’altra lettera è un appello inviato alla delegazione italoamericana al Congresso, perché “apra un dialogo con i membri del Native American Congressional Caucus, al fine di abolire (e/o sostituire) il Columbus Day come festività federale”.
Vengo dal sud Italia, ma non mi sento per niente orgoglioso di un uomo che è nato per caso nella Repubblica di Genova 400 anni prima che esistesse una nazione chiamata Italia. Perdipiù, Colombo navigava per conto della corona spagnola. Si rese responsabile di molteplici atrocità e alla fine venne richiamato proprio in Spagna a rispondere di quei crimini.
Il Columbus Day diventò importante per gli italiani in questo Paese per ragioni che dovrebbero suonare familiari a diversi altri gruppi etnici. Quando arrivavamo a Ellis Island, gli americani non stendevano certo il tappeto rosso (e bianco e verde) per noi. Ci consideravano dei barbari appartenenti a una razza diversa, temevano che avremmo soppiantato la cultura anglosassone. I datori di lavoro ci discriminavano apertamente, pubblicando annunci sui giornali che escludevano senza mezzi termini i lavoratori italiani. Nel sud degli Stati Uniti, gli italiani erano linciati perché non venivamo visti come bianchi.
Il più grande linciaggio avvenne nel 1891 a New Orleans.
Nel 1924, il congresso pose un limite drastico a quanti africani, italiani, ebrei e cittadini dell’Europa dell’est potevano entrare nel Paese, e proibì l’ingresso agli immigrati asiatici e agli arabi. Così facendo chiuse quei cancelli aperti che il Paese avrebbe in teoria avuto negli anni precedenti.
Dovendo affrontare condizioni che non erano dissimili da quelle da cui erano fuggiti in patria, molti immigrati italiani, e molti siciliani, diventarono leader negli scioperi di inizio Novecento. Due di questi organizzatori, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, vennero giustiziati nel 1924 per un omicidio che non commisero. In tribunale il giudice li chiamò “dagos”, un termine derogatorio per chiamare gli italiani. Nonostante le proteste in tutto il mondo, l’esecuzione non venne fermata.
Durante la seconda guerra mondiale, migliaia di italiani vennero trasferiti a forza, deportati o incarcerati dopo che il governo americano abbandonò il piano di rinchiuderci in campi di internamento [gli italiani sono stati per un breve periodo considerati “nemici della patria”, insieme ai giapponesi che invece subirono una sorte peggiore, ndr]. Il padre di Joe di Maggio non potè far visita all’attività di famiglia [perché aveva bisogno di un permesso speciale per potersi muovere, ndr]. La star dell’Opera Enzio Pinza fu arrestato dall’FBI.
Associare gli italiani al Columbus Day era un modo per essere accettati dai bianchi. Questa faticosa scalata sociale verso la pura bianchezza fu completata, in questo caso, sulle spalle delle popolazioni native che, come dimostra ancora una volta la recente lotta contro l’oleodotto in North Dakota, vengono ancora bistrattate qui, nella loro terra. Una bianchezza guadagnata a scapito della nostra lingua e di buona parte della nostra cultura e della nostra storia, e che ci ha lasciati con personaggi pubblici di destra come Frank Rizzo, Rudolph Giuliani e Joe Arpaio.
È arrivato il momento di celebrare i nostri veri eroi, come Vito Marcantonio, il membro del Congresso originario di Harlem che, negli anni Quaranta, sosteneva i diritti civili dei neri e lottava a favore di una legge federale anti-linciaggio. O la quattordicenne Carmela Teoli, il cui scalpo venne squarciato da un filatoio e che testimoniò con coraggio davanti al Congresso nel 1912 sugli abusi nelle fabbriche tessili.
O le migliaia di attivisti che scesero in strada per garantirci i diritti che noi lavoratori spesso diamo per scontati, inclusa la settimana lavorativa di 40 ore, ferie e giorni di malattia, e condizioni sul luogo di lavoro che non ci mettono in pericolo di vita.
Arrivederci, Cristoforo Colombo [in italiano nel testo, ndr].
Tommi Avicolli Mecca