
Si parte verso San Francisco, la città infinita
Perché aprire un blog dedicato a una città?
Le mappe mi hanno sempre affascinata. Se sei qui perché ami viaggiare, sono sicura che anche tu sfogliavi con le manine l’atlante DeAgostini per ore, sognando di svegliarti in uno di quei paesi dai nomi strani. Oppure al buio, ti addormentavi percorrendo con le dita i rilievi e le depressioni sul globo. Quello che avevo da piccola s’illuminava dall’interno, e finivo sempre per arrovellarmi il cervello su due pensieri: primo, ma che cavolo è successo all’Etiopia, perché è così ruvida e scura? (ok, questa più o meno ora la so); e secondo: ma come fa tutto il mondo a stare sul mio comodino?
Ecco, questa è una questione che mi affascina ancora, oggi che sono al corrente di concetti come quello di “scala” e della differenza tra rappresentazione e realtà. Ma comunque, come rappresentare fedelmente un luogo – e, quindi, come raccontare un luogo – senza rimanere incastrati nel celebre paradosso di Borges, in cui la mappa dell’impero è grande quanto l’impero stesso?
San Francisco occupa 120 km sulla punta di una penisola, come il dito all’insù di un autostoppista. Ci abitano circa 800.000 persone. E la sua storia, o almeno la sua storia “statunitense”, comincia meno di 300 anni fa. Se pensi a città come Roma, Samarcanda, ma anche New York, Pechino, Londra, il lavoro sembra davvero semplice.
Una città però è per definizione infinita, perché infinite sono le lenti attraverso le quali possiamo guardarla. Possiamo utilizzare la lente urbanistica: strade, autostrade, ponti, fiumi, parchi. Quella archeologica: cosa c’era qui prima? Del lavoro: chi fa cosa e dove? Quella cinematografica: che film è girato in questo angolo? Letteraria: quale scrittore è vissuto qui, o ha parlato di questo luogo? Si potrebbero elencare centinaia di mappe diverse, e nessuna sarebbe esaustiva.
Inoltre, ci sono almeno due aspetti che complicano ulteriormente la faccenda.
Primo: una mappa, necessariamente, fotografa l’oggi. Domani potrebbe non essere più valida, così come non lo era ieri. Secondo, non esistono solo mappe oggettive. In che senso, ti starai chiedendo? Ti racconto un aneddoto.
Qualche giorno fa parlavo con Ippolita, che viene da un piccolo paesino della Basilicata a strapiombo su chilometri di campi dorati. Scorrendo le foto fatte col cellulare durante un recente soggiorno nel paese natio, mi dice “Guarda qui”. Vedo solo un piccolo incrocio. “Proprio questo è l’angolo dove da piccola cantavo tutte le mattine, i vicini mi chiamavano il gallo canterino.” Ricordavo quel luogo, ma per me non era che l’incontro di due strade. Per lei, invece, quello era un luogo tridimensionale, che faceva parte e dava significato all’esperienza personale.
Pensiamo allora alle nostre mappe personali. Quella del luogo in cui siamo cresciuti, quella di dove siamo diventati adulti; quella dei nostri percorsi quotidiani casa-lavoro-palestra-supermercato, e quella delle scoperte a piedi nelle domeniche autunnali. Una di queste è più legittima, o fedele, delle altre? Certamente no.
Capisci perché rappresentare una città non è cosa da poco?
Io cercherò di farlo qui. Ti porterò nella San Francisco di chi ci vive, ma anche in quella di chi la visita per la prima volta. Ci lasceremo trascinare dalle mille mappe e dalle mille storie.
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Buona strada,
Elena.